Maggio, il mese del brutto, dei giochi brutti: o meglio, dei videogiochi che abbiamo detestato. Già, perché la definizione di “brutto” è talmente ampia e soggettiva, dipendente per forza di cose dalla variabile “Cosa cerchi in un videogame?” che pensare di poter parlare di questo senza rimanere nell’ambito del parere personale è utopico e pure un po’ arrogante.
Ecco quindi che stilerò la mia personale classifica dei 5 videogiochi meno belli che occupano i miei ricordi, per motivi diversi!
IL BRUTTO MA SIMPATICO – PANG 3 (1995)
Come suggerisce il nome, Pang 3 è comunemente considerato come il terzo capitolo della serie Pang, iniziata nel 1989 col gioco omonimo. Probabilmente, però, nel frattempo c’era stato un riassortimento di personale alla Mitchell Corporation, sviluppatrice dei titoli, che in comune si ritrovano ad avere solo la tematica principale di “rompere le palle”.
Per il resto Pang 3 sembra il tentativo di non scontentare nessuno di quelli che ci hanno lavorato, mettendo insieme le idee di tutti. Tanto per cominciare la grafica è stravolta, lasciando da parte quella precisa e ordinata degli esordi per sostituirla con un mappazzone bubblegum dai colori troppo vividi.
Volendo apportare una novità, si è poi scelto di inserire una spruzzatina di GDR tramite la possibilità di scegliere tra 4 personaggi, ognuno dei quali ha caratteristiche differenti.
Infine, il viaggio in tutti i paesi del mondo è abolito e i fondali diventano diversi quadri famosi.
Il nesso fra tutto ciò? Non è chiaro, ma il gameplay rimane divertente.
IL BRUTTO CHE PIACE – CALIFORNIA GAMES II (1992)
La prima volta che sentii questa definizione di “brutto che piace” fu da bambina, e la pronunciò mia mamma in risposta alla domanda “Ma Léon (aka Jean Reno) è un uomo bello o brutto?” .
Ora, non voglio dire che Jean Reno abbia un gameplay macchinoso, tempi di caricamento biblici e una trama da Baywatch con finale creepy.
Voglio dire piuttosto che California Games II, pur con i suoi difetti, palesi e innegabili, era uno di quei giochi su cui alla fine tornavi sempre, durante i lunghi pomeriggi trascorsi davanti all’Amiga.
E posso solo rendergliene anno.
QUANDO LA VOLPE NON ARRIVA AL GAMEPLAY DICE CHE È NOIOSO – DUCK TALES: THE QUEST FOR GOLD (1990)
Il rapporto tra me e questo gioco è sempre stato come quello tra una figa di legno e un corteggiatore non particolarmente sveglio. Mi invogliava coi suoi colori sgargianti, quell’immaginario Disney che piace sempre, descrizioni accattivanti e poi tutto quello che mi concedeva era un assaggino poco soddisfacente di schianti con l’aereo di Jack McQuack e arrampicature a caccia di diamanti con Qui, Quo e Qua.
Per il resto passavo del gran tempo a cercare di capire come scegliere volontariamente una meta o l’altra e a fare infiniti passaggi nella caverna, a dare indicazioni a caso al gruppo di papaveri, che immancabilmente, dopo una decina di questi tentativi, cadevano in un baratro.
Può darsi che Quest For Gold fosse un po’ figa di legno o che io fossi un po’ corteggiatore scemo, fatto sta che questo per me è rimasto sempre un “vorrei ma non gioco”.
L’AVVERSIONE SENZA RISCATTO
Io e lo sport siamo sempre stati come due rette parallele, che non si incontrano mai, si guardano a distanza e un po’ si schifano pure. In particolare il calcio, che in casa mi è sempre stato propinato in tutte le forme: partite, programmi di commenti alle partite, litigate sulle partite, e ovviamente anche videogames.
Ecco dunque un paio di giochi che ogni tanto mi toccava subire nell’attesa di prendere possesso del joypad e che immancabilmente portavano al piattume il mio encefalogramma.
So che è considerato uno dei migliori videogame di calcio sulla piazza, ma per me è sempre stato un incubo vedere lo schermo della tv invaso dal verde di quel campo su cui personaggi della stessa grandezza della palla si rincorrevano, palleggiando verso l’alto, verso il basso, a destra e a sinistra fino a riuscire a infilare qualche goal che si traduceva in una classifica piena di valori che non sono mai stata in grado di interpretare.
Ricorderò sempre questo gioco con una sensazione di noia immensa, anche se per questo mi hanno dato dell’insensibile.
L’unico gioco che trovai più noioso di SWOS è The Manager. Più noioso e anche più incomprensibile. Con The Manager non avevo neanche la nozione del tempo che passava, visto che non c’era azione ma solo una serie di messaggi a video che comunicavano informazioni del cui significato non avevo idea.
Per questo motivo “The Manager” vince ufficialmente il titolo di gioco più brutto secondo me. Il fatto che Starfox Mulder sia riuscito a far vincere il Cagliari con The Manager non mi farà cambiare idea.
…e questo è quanto cari Bit-Ellini, se vi va fateci sapere qual è la vostra top 5 del peggio del retrogaming!