AFTERLIFE (PC-MAC 1996)

Salve a tutti miei cari amici Bit-ellonici, qui è il vostro Magnum CD-i che vi parla, come sempre in diretta dalle Hawaii.
Stavo giusto risolvendo uno strano caso al King Kamehameha Club, quando vedo suonare il cercapersone. Una rapida occhiata e leggo solo due parole: Gesù – Cummenda. Dopo un attimo di interdizione, ho terminato il mio compito e mi sono diretto verso villa Masters, pronto per scrivere un nuovo pezzo.
Non mi farò domande sulla scelta singolare del tema proposto dal Bionic, ma di sicuro ho una risposta: Afterlife.
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Il titolo probabilmente non vi dirà nulla e la cosa non mi sorprende, ma di sicuro rimarrete increduli quando saprete che è un gioco sviluppato nientemeno che dalla leggendaria (e compianta) Lucasarts. Afterlife è un titolo “gestionale” uscito su PC e Mac nel 1996; per svariati motivi non è rimasto particolarmente famoso, ma ciò non vuol dire che debba essere dimenticato.
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Siamo su uno dei tanti pianeti della galassia. Le persone che vi abitano, chiamati Embo, vivono e muoiono, come nella tradizione di ogni essere vivente che si rispetti. Arrivati nell’aldilà, vengono indirizzati verso il Paradiso o l’Inferno, a seconda del comportamento tenuto prima del trapasso. Ma chi si occupa di organizzare le cose nei due regni? Noi ovviamente. Nei panni del Demiurgo, dovremo infatti costruire sia il Paradiso che l’Inferno e farli sviluppare nella maniera più ragionata possibile per assicurare un post vita sereno (o crudele) alle anime degli Embo.
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Graficamente il titolo risulta, pur nello stile minimale tipico del genere, gradevole e funzionale, con qualche punta di carisma in più per il design delle strutture e per alcune accattivanti illustrazioni degli edifici che andremo a costruire.
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Sul versante audio troviamo un’ottima colonna sonora di Peter McConnell, che accompagna il procedere del gioco in modo discreto e mai troppo intrusivo. Gli effetti, pur non particolarmente presenti, sono ben realizzati ed il tutto è impreziosito dall’ottimo doppiaggio dei nostri assistenti, di cui parlerò a breve.
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A questo punto una domanda sorge spontanea: qual è lo stile di gioco?
Avete presente Sim City? Ecco, ora vi siete fatti un’idea di come funziona Afterlife.
Dovremo lavorare su entrambi i regni, cercando di organizzarne al meglio i centri di accoglienza delle anime e tutto quanto c’è di annesso e connesso. Per fortuna non saremo soli nel nostro arduo compito, ma riceveremo supporto e consigli da due preziosi assistenti: Aria Goodhalo (Paradiso) e Jasper Wormsworth (Inferno).
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Grazie alla loro guida potremo muovere i primi passi nel gioco, che ha senza dubbio bisogno di un po’ di rodaggio per essere goduto a pieno. Oltre all’organizzazione delle strutture, dovremo infatti seguire l’evoluzione del progresso sul pianeta degli Embo. Gli abitanti infatti avranno determinate credenze, che si riassumono in sette virtù e sette peccati capitali, di cui poi potranno rispettivamente godere o soffrire, una volta trapassati, in apposite strutture. Grazie alla nostra influenza, potremo modificare il loro giudizio, indirizzandoli verso alcune, piuttosto che verso altre. Il punto fondamentale del gioco è infatti evitare gli sperperi di denaro, che andrà dosato con grande cura.
Il titolo Lucasarts richiede impegno e dedizione, visto l’alto livello di sfida, che garantisce comunque un’alta longevità a lungo termine (ammesso di non restare frustrati prima).
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Tirando le somme, Afterlife è uno dei pochi titoli ad aver affrontato in maniera ironica e sarcastica la vita nell’aldilà e sebbene non perfetto, rimane comunque un titolo consigliato agli amanti del genere gestionale o a chi vuole provare una nuova esperienza. D’altronde l’umorismo che lo permea funziona egregiamente e questo lo rende senza dubbio più che appetibile, anche se Lucasarts stavolta ha tarato il livello di sfida piuttosto in alto.

Anche per oggi l’abbiamo sfangata, perciò non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento qui il prossimo venerdì, per un’altra super recensione a tema (stavolta tocca all’esimio Cummenda).

Rest in peace 🙂

Magnum CD-i

magnum prova
“This Isn’t Even My Final Form”

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