“UNO SCONTRO IMPARI”: storie di sovranismo videoludico ad 8 bit

Salve a tutti, o popolo Bit-ellonico. Sono sempre io, il vostro Magnum CD-i.
Quest’ultimo mese è stato particolarmente intenso: tra indagini, risse da bar, notti infuocate e mostre retro ludiche, non ho avuto un attimo di respiro. Meno male che dicevano che qui alle Hawaii si sta tranquilli.
Oggi, per la prima volta dopo giorni, ero seduto sulla veranda a guardare il tramonto, con un bel cocktail con l’ombrellino in mano, quando è squillato il cercapersone. L’amico Starfox mi ha scritto queste semplici parole: “Nooo, il sovranismo nooo!!!”. Dopo averci riflettuto un po’, mi sono reso conto che non dev’essere particolarmente felice del clima che c’è in Italia. Un po’ mi dispiace per lui, qui in America invece le cose vanno alla grande (ma che dico, alla grandissima). Manca solo una bella dichiarazione di guerra e siamo a posto. Ma torniamo a noi.
Ispirato dal messaggio, ho pensato di raccontare di qualche impero tirannico nei videogiochi; inizialmente la scelta era caduta sullo splendido Final Fantasy IV, che si apre proprio con il regno di Baron che attacca i paesi circostanti, sotto il comando del protagonista. La storia di Cecil e della sua presa di coscienza nei confronti di un tiranno sanguinario sembrava la scelta perfetta. Visto però che in questo modo non sarei risultato particolarmente sarcastico e graffiante , ho pensato di rimandare l’approfondimento a tempi migliori (nel frattempo, giocatevi Final Fantasy IV se non lo avete ancora fatto).
Di cosa potrei parlare allora? Ma del mio bersaglio preferito ovviamente, la buona, cara, vecchia Nintendo.
In particolare mi piaceva raccontare di un periodo storico in cui era leader assoluta del mercato e in cui dettava legge senza alcuna pietà o compassione per la concorrenza.
Siete pronti ad addentrarvi in un affare torbido e particolarmente fastidioso per i fan della grande N? Io si 🙂
Le borse del mondo in negativo
Come ben sappiamo, la crisi americana dei videogiochi del 1983 causò vittime illustri. Alimentata da tutta una serie di motivazioni che non staremo qui ad elencare, tra cui la sconsideratezza del colosso Atari verso una produzione massificata e costante di titoli dalla qualità discutibile (con punte di follia come i cinque milioni di copie prodotte di E.T. per il VCS), la bolla finì per scoppiare, portando con sé mezza industria. Sistemi come Intellivision, Colecovision e Vectrex furono investiti in pieno ed iniziarono una lenta e triste agonia, insieme a tante case di software e hardware. La stessa Atari si trovò decisamente molto ridimensionata, tant’è che nel 1984 fu venduta a Jack Tramiel, che cercò di recuperare una situazione piuttosto critica.
In Europa però la situazione era ben diversa, soprattutto se si pensa al fiorente mercato videoludico legato agli home computer ad 8 bit, ma il contraccolpo nel mondo console si era comunque sentito.
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Nel frattempo, in Giappone,una console chiamata Famicom aveva iniziato da poco il suo cammino e stava guadagnando popolarità. Nintendo, la sua produttrice, aveva persino iniziato a stringere accordi con Atari per la sua commercializzazione negli Stati Uniti, ma una serie di incidenti diplomatici tra le due aziende impedirono l’accordo, a cui poi si aggiunse la nota crisi del settore. Siete sorpresi? Atari poteva diventare la sola distributrice del Famicom fuori del Giappone, pensate un po’ come sarebbe cambiata la storia. Ma sto divagando…
NES_2Player_Pak__01818.1430494982.jpgNel 1985 Nintendo decise di portare per conto suo il Famicom in America, con il nome di Nintendo Entertainment System. Il mercato era ancora fermo e la scelta fu vista come un azzardo dagli esperti del settore. Il successo però arrivò presto, e fu rapido e travolgente. Tutti gli sviluppatori volevano lavorare con Nintendo, che dal canto suo aveva saputo dare una buona ripartenza al mercato americano, imparando dagli errori commessi da Atari. Le software house che volevano rilasciare un titolo su Nes, dovevano per forza far approvare il proprio gioco dal colosso nipponico, che garantiva la qualità del prodotto e ne garantiva la pubblicazione attraverso il famoso “Nintendo Seal of Quality” posto sulla confezione.
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Uno sviluppatore poteva rilasciare un massimo di cinque giochi l’anno e questi dovevano comunque essere controllati ed approvati. Anche la quantità di copie da produrre veniva decisa da Nintendo stessa, evitando errori clamorosi come quello di E.T. Svariate fonti raccontano, ad esempio, di quantità spesso più basse della richiesta, in modo da tenere sempre alto l’interesse del pubblico. Determinante fu inoltre la scelta del target. A differenza del Famicom giapponese, infatti, il Nes venne pensato per un pubblico molto giovane. Questo chiaramente permise a Nintendo di conquistare un settore molto ampio, con la prerogativa però di censurare i contenuti non ritenuti adatti al pubblico giovane. Da questo punto di vista sono esemplificativi i tagli avvenuti sulla storica avventura grafica Maniac Mansion della Lucasfilm Games, o su vari simboli religiosi in giochi come Ducktales. Fin qui però non ci sarebbe nulla di cui particolarmente scandaloso, il problema risiede altrove.
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Con il ritrovato interesse statunitense nel mondo delle console, non tardarono ad affacciarsi nuove realtà, desiderose di ritagliarsi una fetta di mercato. La prima fu Sega, che aveva già tentato con la sua prima console, l’SG-1000, di conquistare il mercato giapponese. Uscita lo stesso giorno del Famicom, non ebbe particolare fortuna ma da quell’esperienza nacque, nel 1985, il Sega Mark III, un sistema pronto a combattere ad armi pari con Nintendo. La console fu poi ridisegnata per il mercato occidentale (come era successo per lo stesso Famicom) ed uscì nel 1986 con il nome Master System.
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Il secondo avversario fu Atari, che dopo l’acquisizione da parte di Jack Tramiel aveva iniziato una lenta risalita. La casa americana aveva preparato una nuova console già nel 1984, l’Atari 7800, ma varie problematiche legate all’acquisizione della società ne ritardarono la commercializzazione fino alla fine del 1986.
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Quando queste due compagnie uscirono sul mercato, si trovarono fin da subito a combattere una guerra coi mulini a vento. Questo perché Nintendo aveva applicato una simpatica clausola al contratto con gli sviluppatori esterni, che di fatto li obbligava a rilasciare i giochi esclusivamente sul Nes per un determinato periodo di tempo. Questo essenzialmente impedì ogni tipo di conversione sulle console rivali e tagliò le gambe fin da subito a Sega ed Atari. Le due compagnie fecero salti mortali per cercare di sopperire alla mancanza cronica di titoli realizzati da terze parti.
Sega poteva contare su diversi team interni e sulla possibilità di acquisire licenze esterne per poi riprogrammarle internamente. Atari invece si trovava più in difficoltà ed aveva meno fondi disponibili, per cui la libreria rimase molto più limitata, concentrandosi in buona parte su versioni aggiornate di grandi classici da sala giochi.
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Questa situazione si protrasse per anni, infestando l’intero ciclo del 7800, nonché quello americano e giapponese del Master System. In Europa, dove la commercializzazione del Nes era più debole, la console Sega trovò la propria casa ed ebbe grande fortuna, grazie anche al grande supporto degli sviluppatori europei.
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Con la successiva generazione di console il problema rimase inizialmente immutato.
Atari, concluso il supporto al 7800, proseguì con lo sviluppo del Jaguar, che non sarebbe arrivato sul mercato fino alla fine del 1993. Nel frattempo l’azienda americana aveva rilasciato il Lynx, una potentissima console portatile, che però ebbe anch’essa vari problemi legati alla mancanza di terze parti.
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Sega faticò molto a ritagliare spazio al Megadrive, il suo nuovo sistema di punta. Da quel momento la decisione fu presa: la battaglia sarebbe stata condotta a viso aperto, grazie a slogan aggressivi e al supporto di vere e proprie celebrità (Basta pensare a Michael Jackson con Moonwalker). L’arrivo poi di Tom Kalinske come CEO americano dell’azienda, unito alla nascita del celebre Sonic, portò grande successo e le case di sviluppo più importanti decisero di rivalutare i contratti fatti con Nintendo. Da quel che si legge in giro ci furono anche diverse cause intentate sulla tipologia non particolarmente cristallina degli accordi per le licenze, ma non avendo prove sicure non lo posso dire con certezza. Di certo però potete capire adesso perché Street Fighter 2 ci ha messo tanto ad uscire su Megadrive, no?
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Ovviamente le problematiche di Sega ed Atari erano anche altre; sarebbe ingiusto dare l’intera colpa a Nintendo, però non c’è dubbio che questa situazione abbia contribuito a danneggiare i due colossi.

E voi che ne pensate? Conoscevate il lato oscuro dei contratti Nintendo?
Mentre riflettete, io intanto finisco il mio cocktail; a forza di scrivere sicuramente il ghiaccio si sarà sciolto.
Per questa settimana è tutto ragazzi, il vostro Magnum CD-i vi saluta, e vi dà appuntamento a questo venerdì, con un altro articolo di uno dei suoi compagni Bit-ellonici.
Aspettate, ho detto compagni? Vedo già dei Man in Black che si avvicinano.
Sarà il caso di non farsi vedere, voi fate finta di non aver letto niente, mi raccomando

MAGNUM CD-i

magnum prova
“This Isn’t Even My Final Form”

 


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