Hades-so di qui non se ne va nessuno finché quel Isaac-co di Spelunky che ha inventato il termine roguelike non viene fuori. (di Starfox Mulder)
Siete quel tipo di persone che se sentono dire “Cellule Morte” pensano ad un videogame invece che alla dermatite?
Se vi dico Isacco, invece di pensare al figlio di Abramo vi sovviene un brutto gioco (sì, lo dico e lo sostengo, venite a prendermi) che ha venduto su Steam più di Brigitta Bulgari al Pepe Nero?
Probabilmente allora siete anche abbastanza svegli da combinare l’inglesismo “like” (come) al fatto che Rogue non stesse per Canaglia, ma per un gioco a cui tanti altri assomigliano…diciamo quasi il genere che va per la maggiore in questi tempi bui, và!
Bene, se volete sentir parlare di Hades o Dead Cells vi rimando ai pards di GameRevs, io mi scrocchio le dita mentre sono davanti al 486 su cui scrivo le recensioni per parlarvi del primo, irreprensibile Rogue. Sigla!
CONTESTO STORICO
Siamo nel 1980, all’interno dell’Università di Berkeley (California). Michael Toy e Glenn Wichman, due che avevano dei cognomi fighissimi, adoperarono il BSD (Berkeley Software Distribution) per realizzare un videogame in caratteri ASCII.
Il titolo era “Rogue:Exploring the dungeons of doom”.
Ai due non interessava inizialmente guadagnarci ed infatti, prima di prendere accordi con Epyx per la distribuzione, lo rilasciarono gratuitamente e non fecero in generale alcuna storia a chiunque volesse prendere il loro codice ed utilizzarlo.
TRAMA
La questione è semplicissima: interpreti un avventuriero generico (e ne vedrai morire personalmente tantissimi come te) che, scoperta la leggenda che vorrebbe l’amuleto di Yendor seppellito al ventiseiesimo livello di uno specifico Dungeon, hai pensato bene male di poter essere proprio tu quello che scenderà la sotto e riporterà in superficie l’ambita reliquia. Tenete conto che ancora la retorica del “siamo tutti speciali” non aveva manco preso piede…pensa che scemo!
GAMEPLAY
Qui una doppia premessa:
1 – ho giocato a lungo la versione DOS (e fondamentalmente sto parlando di quella);
2 – il gioco aveva già molti degli aspetti che poi caratterizzeranno il genere derivato.
Quali aspetti? Morte permanente del protagonista, difficoltà altissima e labirinti casuali vi bastano?
Bene, andiamo sul pezzo quindi.
Ogni partita vi vede iniziare di primo livello, all’interno di una stanza generata casualmente di un livello generato casualmente di un dungeon generato casualmente. Vi potrete spostare con le freccette direzionali e usare un’altra trentina di pulsantini della vostra tastiera per fare il resto delle cose.
Non sto scherzando, l’intento di vendere sta roba qui era così palesemente alieno ai programmatori che lo impostarono per essere inizialmente ostico al massimo, per quanto in breve tempo ci si abitua ad usare i tasti più comuni.
Dovrete combattere con mostri caratterizzati da una lettera, i quali uccisi rilasceranno punti esperienza e tesori, così come evitare trappole e recuperare cibo. Dormirete al bisogno e, una volta scovata, scenderete la scala che conduce al livello inferiore. Tutto uguale fino al ventiseiesimo livello e poi…tornare in superficie.
Vi pare una cosa infinita? “Chissà come mai” mi dico io!
GRAFICA E SONORO
Voi siete @ (commercial at o, in italiano, chiocciola) e dovete attraversare stanze fatte di . e corridoi pieni di #, dopo aver passato porte a +.
Ok, la smetto!
In realtà ogni versione successiva alla prima di Rogue implementò alcuni artifici grafici per rendere più piacevole l’esperienza ma il sonoro continuava ad essere composto da impulsi terrificanti. Il punto è che non se ne può manco parlare male perché l’obbiettivo era sin dall’inizio quello: un gioco enorme a contenuti, dal comparto tecnico ai minimi termini possibili.
Doveva girare anche sulle calcolatrici e sostanzialmente lo fece!
LONGEVITÀ
Semplicemente infinita o il più classico finché non vi sarete stancati.
All’epoca spopolò tra gli appassionati ed oggi ha dato il nome al genere che va per la maggiore in ambiente Indie.
La ragione è molto semplice: si tratta di una formula che stanca in breve tempo ma lascia ugualmente la voglia di rifare una partita di tanto in tanto.
Rogue è un filler , un riempitivo leggero tra un gioco più impegnativo e l’altro, un bicchiere d’acqua fresca tra due super alcolici, un anno senza sesso quando di cognome fai Siffredi…ok, l’ultimo esempio non invoglia particolarmente a provarlo.
REPERIBILITÀ/COME CACCHIO CI GIOCO
Vi ho già detto che Rogue è nato free e sostanzialmente lo è rimasto.
I suoi seguiti/cloni meno, ma data la sua natura per pc-isti, il mio consiglio è giocarvelo direttamente dal computer di casa.
Dove?
C’è l’imbarazzo della scelta ma se volete fare come me, cliccate semplicemente QUI
CONCLUDENDO
Vi entusiasma il genere dei Roguelike? A me pochissimo ed il loro capostipite non fa differenza!
Intendiamoci: è una pietra miliare ed ha il merito di aver alleggerito un genere (gli rpg occidentali) che fino a quel momento era per lo più fatto di lunghissimo testo e lenti combattimenti, quindi lode a Toy e Witchman (a cui si aggiunse Kenneth Arnold nella successiva versione) per l’idea ma… anche basta così!
Purtroppo, come Bob Marley ha dato origine ad un genere musicale ampiamente sfonda gonidi, anche Rogue ha fatto lo stesso nella sua categoria.
Ultimamente pare si siano accorti che fosse il caso di migliorare la formula del permadeath, infatti, e qui parte il coming out: a me Dead Cells è piaciuto (ed Hades ho intenzione di giocarlo).
Dopo questa vado a cospargermi il capo di pixels morti.